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OTTO AGOSTO (2018)

Mia piccola Caterina,
ti scrivo da un futuro immaginario, ora che sono nello stato abituale della dimenticanza da orari e missioni. Mi accingo a prestarmi ai servizi del racconto come se fosse la cosa più naturale del mio mondo. Ho una meccanica che si mischia alla filosofia dei silenzi e, in questa occasione, mi riesce sempre facile vederti che corri per casa senza farti sentire.
Là mi si posa lo sguardo.
Negli angoli e lungo le pareti, nei miei posti preferiti che diventano luoghi di abbandono e di incontro.
Stamane ho ritirato un biglietto per il viaggio che faremo appena ci vediamo. Perciò, anche, non vedo l’ora che torni. Ovviamente ti ho tenuto tutto in caldo, sebbene non servisse. Andremo tu sai dove, passando per ogni via, soprattutto per quelle scritte e battute a macchina, come si faceva una volta, e le trascriveremo man mano nei fogli che abbiamo comprato tanti anni fa. Servivano a questo, giusto?
Ti confesso che inizio a sentire la stanchezza e il mal di testa, anche se questi giorni di mare mi hanno portata altrove. Come sai, però, questo mare del nord non è mai riposante come lo intendi tu: non ha sabbia né scogli, ma miriadi di petali disegnati con mine di stelle. C’è così tanto da colorare che ci si può perdere la vista. Io sono fortunata, perché ho lasciato sul bagnasciuga appena due etti di pazienza, ma conservo i miei occhi intatti, appena le palpebre sono più dorate del solito. E sai quanto costa l’oro al grammo, e quanto pesa se non sei abituato a pagarlo.
Vorrei tanto mandarti delle fotografie, la prossima volta di sicuro provvederò.
Come stanno gli amori che hai portato con te? Spesso mi appaiono in sogno ma, al mattino, non mi sveglio riposata. Eppure è nitida la loro consistenza. Digli che mi mancano e che li vorrei pensare più spesso, che non possiamo parlarci come prima perché quelle cose che non si sanno capire ce lo impediscono ancora. E digli che è più colpa mia che loro, lo so che ci hanno provato a farsi sentire, è che punge fortissimo sopra alle gote e dentro alla gola quella cosa che noi, di solito, chiamiamo rimpianto. Pensa che pensavo di non averne. Mi sbagliavo di grosso perché ho verificato che c’entrano col non fare abbastanza e col senso di colpa. Perciò, ecco, ne sono provvista. Questo però lo dico a te, non dirlo a loro, che non voglio si preoccupino ulteriormente. So che penserai che li sto trattando come se fossi adulta. Non che loro siano più piccoli di me, anzi, ma come ben sai io vivo di protezione.
Piuttosto, dimmi, come facevate a farmi sorridere?
Questo futuro è incerto, come una connessione instabile. Alcuni momenti mi sembra di padroneggiare, altri invece mi sento come l’ultima goccia di pioggia che non vuole cadere. E certo ora avverto quella tua voce clemente che mi carezza il collo fino a ruotare il dorso della mano e fa: calmati.
Hai ragione, sai?
Quando parto, parto.
Allora concludo, e mi vado a sdraiare un po’.
La sala mi aspetta e il tuo divano è bianco.
Mi ci farò saltare sopra sentendo tutto il mio corpo e lì, in quell’esatto momento, penserò a tutti voi.
Magari chiuderò gli occhi e ritroverò quella cosa splendida che sapete fare voi ogni volta che io sfuggo, tra dovere e dolore.
Essere.
Rossana

1 pensiero su “OTTO AGOSTO (2018)”

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